mercoledì 29 settembre 2010

Bei tempi


Va be lo so capitata a tutti dopo aver passato la boa dei 45. Si comincia a pensare ai 20 anni precedenti e ci si illude di avere vissuto un momento storico ed irripetibile. Si comincia a fare dei discorsi il cui incipit è "ai miei tempi...".
Però ai miei tempi (ecco lo sapevo) noi ventenni (allora) o poco più potevamo davvero vivere passando da un avventura all'altra.
Chi come me bazzicava la montagna e l'alpinismo ha vissuto a modo suo un periodo storico epico.
Si andava ad arrampicare, facendo la colletta per mettere 1000£ di benzina nella 500 di un amico e non cerano regole sul come e sul dove. Tutti i rigidi dogmi della precedente generazione di alpinisti, o quelli che a noi parevano tali, dovevano essere sconfitti. Ci si vestiva da hippy e s'imitava i miti americani o francesi. Si partiva da Torino in 3 su una 126 stracarica di zaini per andare ad "grimpare" (italianizzazione goliardica del termine francese grimper, arrampicare, in voga all'epoca tra gli alpinisti torinesi) sul mare di Envò. Sembrava un gioco che non sarebbe mai finito e se una parete, una montagna, era ormai diventato un classico della generazione che ci aveva preceduti, la si poteva sempre "sconsacrare", scendendo con gli sci dove altri erano saliti con picozza e ramponi o salendo cosi veloci, non era il mio caso, da concatenare più vie in un giorno. Vie che i primi salitori avevano spesso impiegato più giorni a salire.
Nascevano i primi surf da neve (nessuno li chiamava snow board) ed erano veri surf, senza attacchi ne lamine, ne scarponi.
In quegli anni ho avuto la fortuna di conoscere personaggi mito della mia generazione e in parte anche di quella precedente. Casarotto, Manolo, Boven, Edlinge, Patric Berault e Gian Carlo Grassi.
Cosi oggi, quando ho ritrovato questa diapositiva (perdonate la pessima scansione) che mi ritrae durante uno dei miei primissimi voli in parapendio (si trattava anche dei primissimi parapendii) non ho potuto fare a meno di pensare al gran parlare del senso di libertà che si faceva allora. La voglia di irridere le regole che però si fermava spesso davati al rispetto per chi ti aveva preceduto (quando ti trovi a metà di una nord con due modernissime picozze, corde di nylon, abiti caldi casco che ti ripara dalle pietre che cadono e rivoluzionari scarponi di plastica... e malgrado questo ai freddo paura e sei stanco morto, non puoi non provare rispetto per quel reverendo americano che con un alpenstock, scarponi chiodati e corde di canapa, e salito 100 anni prima di te per la stessa strada).

Per imparare a volare ad esempio... non c'erano scuole, attestati, visite mediche. Si andava in fondo al campetto da sci e si passava la giornata su e giù con quella vela che quando riuscivi a gonfiare (una volta su 4) aveva la forma di un grande materasso colorato (le ali ellittiche a forte allungamento e profilo sottile nasceranno dopo quasi un decennio). Nessuno sapeva bene come ci si doveva comportare appesi sotto, qual'era la posizione migliore da assumere. Si cercavano le foto dei paracadutisti (le vele erano cosi simili alle loro) e si adattavano gli imbraghi da alpinismo alla bisogna. Non esisteva variometro, altimetro e il casco era lo stesso che usavi in parete.
Certo ci voleva anche una buona dose di incoscienza... ma quella non mancava di certo.

Oggi volo in aliante. Ho un brevetto, un cruscotto pieno di orologi ali in carbonio e vetro da 20 metri con le quali posso fare centinai di chilometri...

In realtà la nostalgia non è la mancanza di quei gesti, posti o azioni.
E' la consapevolezza di non avere più l'illusione che tutto possa durare per sempre. Che non ci sarà necessariamente un altra giornata di bel tempo per riprovarci. Mantenere viva la curiosità aiuta ad evitare che il tutto si trasformi nel rimpianto delle occasioni perse. Ma basta scoprire una vecchia foto dimenticata perché ti prenda quel groppo alla gola... perché sai che allora eri felice, ma hai dovuto aspettare fino ad oggi per scoprirlo.

7 commenti:

  1. sniff sniff,

    sono commosso...

    sniff sniff.

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  2. Quoto Riccardo (D.O.C.): Orso è un poeta vero e per questo, attraverso le sue parole, anche i nostri ricordi, i nostri pensieri, diventano poesia.
    Grazie Orso.

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  3. Bel post.
    Ma a me vengono i brividi a pensare di essere in volo.
    Infatti ogni volta che volo con la morosa non posso stringerle le mani che gliele stianco.
    E puntualmente rompo almeno un bracciolo dell'aereo, lo sanno già.

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  4. Orso... questa tua vena poetico-malinconica è veramente bella!
    Se passi da qual di Milano fammi un fischio che ti offro un caffè.

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  5. Mi associo, la vena poetica di Orso e' veramente notevole!
    Grazie di averla condivisa con noi tutti.

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  6. Ma strakkino, che ha superato la soglia dei 50, se si guarda indietro cosa vede oltre alla desolazione di una vita buttata alle ortiche?

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